MARUZZA

(racconto popolare trascritto e pubblicato da G.A. Gubernale in "La Siciliana" nel maggio del 1913)

 

Uno dei luoghi più pericolosi, che fa venire i brividi al solo guardarlo, è una rupe, posta a picco sulla Cava Grande, appellata volgarmente "u sautu ri Maruzza", a mezza costa della quale scorre un rivo d'acqua dolce, limpida, fresca, detto "a funtana ri Maruzza".

Questi due luoghi spaventevoli, che han sfidato impassibili l'ira delle tempeste ed il succedersi dei secoli, nel loro muto linguaggio rivelano una storia lugubre, un episodio d'amore, gelosia e morte, un dramma che sanno fin'anco i nostri bambini e che nelle sere invernali è spesso l'argomento prediletto dei buoni montanari che abitano quei punti alpestri e ruinosi.

Maruzza, la giovane montanara, figlia di cumpari Currau aveva quasi vent'anni ed era un vero bottoncino di rosa che sboccia in un fresco mattino di primavera. Aveva il viso brunetto, ornato da folte e bionde chiome, da due occhi neri neri e grandi, da due labbruzzi corallini e da altrettante file di piccoli e tersissimi denti, che in uno al corpicino snello, ben modellato, alle manine delicate e ai piedini da elegante signorina, la rendevano un vero tipo di fata.

E tale ella sembrava realmente, allorquando la mattina, prima dello spuntar del sole, col viso colorito dalla fresca brezza mattutina, guidava le pecorelle e le caprette al pascolo, tenendo in braccio il suo preferito agnelletto; quando all'ombra d'un ulivo o d'un carrubo se ne stava, nelle ore vespertine, sdraiata sulla molle erbetta, in mezzo ai variopinti fiorellini silvestri; quando - ritornando, la sera, col suo fascio d'erba o di frasche sul capo - cantava con un filo di voce argentina la nota canzone:

    Taliati chi putenzia ri suli                                    (Guardate che potenza di sole)

    Ca ri nessunu si lassa taliari                                 (che di nessuno si lascia guardare)

    Cu' lu talia 'nfacci l'occi ciuri                                (chi lo guarda in faccia gli occhi chiude)

    Ca li lacrimi all'occi fa scappari.                          (che le lacrime agli occhi fa scappare)

    Ogni albiru si preja di lu so' ciuri                         (Ogni albero gioisce del suo fiore)

    E ogni aceddu di lu so' cantari;                            (e ogni uccello del suo cantare)

    Cussì mi preju iu ri lu me' amuri                         (così gioisco io del mio amore)

    Quannu lu viru ri la strata passari.                     (quando lo vedo dalla strada passare)

Peppi - l'unico figlio del capraio cumpari Carminu - era l'idolo dei suoi sogni, la meta delle sue aspirazioni: essere la moglie, la sola donna, l'unica confidente di quel giovine amabile, di quel garzone che ad una forza erculea accoppiava un personaggio atletico ed un cuore di colomba... Oh! sarebbe stata, per lei, una grande felicità che non avrebbe cambiata con quella di una regina. E Peppi dal canto suo la riamava con pari affetto, con altrettanto ardore e non aspirava che a poter accumulare qualche gruzzoletto per mettere su casa e poter offrire, alla sua diletta Maruzza, se non una ricchezza, almeno una comodità relativa alla loro posizione sociale. E perciò pensò di cercare fortuna altrove.

Cumpari Currau, il padre della ragazza, dall'altro canto, aveva adocchiato Giuvanni il mugnaio - un bel giovane anche lui, il quale oltre ad una casetta in città possedeva uno stacco di terre in contrada Gallina ed un altro in uno dei maggiori burroni di Cava Grande - e voleva farne di lui un genero a tutti i costi. Da parte sua Giuvanni non cercava di meglio, ché Maruzza era veramente un bocconcino prelibato sia per le qualità personali e sia per quelli finanziarie, poiché il padre, che non aveva altri figli, le avrebbe dotato circa venti pecore e dieci capre, nonché due tumoli di terreno e una casa a due vani in città.

E il matrimonio era stato conchiuso. Maruzza, che ne fu informata, dapprima protestò che non voleva maritarsi, poi pianse amaramente, quindi fu costretta a consentire per le replicate minacce del padre. Così la bella figlia di Cumpari Currau divenne la moglie di Giuvanni il mugnaio, in braccio al quale a poco a poco obliò l'antico amante, tanto più che questi da un pezzo non s'era fatto vivo.

Dal dì del matrimonio era scorso più che un anno. Una sera, verso l'Ave Maria, Maruzza se ne stava in casa, sola, a pizzicari le fave per la dimani, allorché le si presentò innanzi Peppi, con un amaro sorriso sulle labbra e col viso coperto da un pallore cadaverico. Maruzza in vederlo, ebbe un fremito per tutta la persona; una viva fiamma le salì dal cuore al viso, divenne rossa come una ciliegia e con un sospiro mormorò:

- Tu... voi qui?

- Io sì, proprio io, il tuo primo amante. Dopo aver faticato un anno e mezzo facendo la vita d'uno zingaro per procacciarmi un'agiatezza da offrire alla mia Maruzza, torno al paese natìo per farla mia sposa, e... Madonna mia!... la trovo moglie d'un altro... Così dunque osservasti i giuramenti fattimi? Tutto questo era l'amore che dicevi di professarmi? Oh! donna ingrata, donna inumana! Tu hai spezzato questo povero cuore, tu hai avvelenata la mia esistenza.

- Peppi!...

- Maruzza!...

- Non ci ho colpa!...

- Non importa. Intanto io voglio che sia felice, che tu goda di quella vita beata che non potei offrirti io stesso... Ritornerò a Messina presso il mio padrone e non rivedrò mai più questa terra ingrata. Là piangerò la mia sventura. Addio Maruzza, addio per sempre. Prega i tuoi santi per me!...

La povera giovane era commossa: quelle parole che trattenevano a stento il singhiozzo le schiantavano il cuore e due lagrime ardenti le scapparono dagli occhi neri neri e caddero sulla mano di Peppi, che la protendeva per stringere quella di lei. Quella stretta di mano e quelle lacrime furono per loro la scintilla... In un momento d'estasi e d'oblìo le loro labbra si unirono per imprimersi un lungo, ultimo bacio... Poi Peppi uscì correndo come un forsennato.

In quel mentre Giuvanni compariva in capo alla via e proprio nel momento in cui i due infelici amanti si davano forse l'ultimo addio. Vedendo uscire Peppi il suo rivale, in tutta fretta, un lampo di sdegno gli apparve sul viso; digrignò i denti, strinse i pugni, roteò gli occhi spalancati, concepì subito una vendetta, una tremenda vendetta.

- Dunque Maruzza mi tradisce! Maruzza ama ancora Peppi! Maruzza mi getta sul volto il fango del disonore! Maledizione su lei! Mi vendicherò!

Ed entrò in casa cercando di dimostrare la massima freddezza. Poi scaricò i sacchi di farina dal carro, staccò la mula che condusse alla mangiatoia; le tolse l'armigghi; le preparò il fieno e la crusca misturata con orzo ed avena; e quindi domandò alla moglie:

- E' venuto qualcuno a cercarmi oggi?

Maruzza impallidì a quell'inattesa domanda, poi divenne rossa rossa e con un fil di voce rispose:

- Nessuno.

Giuvanni non obiettò alcuna parola; ormai era sicuro che la moglie lo tradiva. L'aveva veduto lui, coi suoi propri occhi, l'infame Peppi. Non rimaneva altro che vendicarsi. Preparata la minestra, Giuvanni mangiò poco accusando un lieve dolor di capo. Maruzza ancor meno, tanto più che pensava a tenergli un mondo di discorsi futili, di nessuna importanza, ma che servivano a sviare la conversazione da quello che la montanara temeva. Terminata la cena, Giuvanni disse alla moglie:

- Domani andremo in campagna a Cava Grande.

- Debbo venirci anch'io?

- Sicuro; ho bisogno di te.

L'indomani mattina, verso le otto, erano arrivati a Cava Grande. Maruzza era di mal umore, Giuvanni lo stesso; durante il viaggio non s'erano rivolte che poche e brevi parole... Dopo un'ora dall'arrivo, il mugnaio intimò alla moglie di seguirlo... Giunsero finalmente sulla vetta del burrone da noi mentovato, e allora Giuvanni disse a Maruzza:

- Vedi laggiù?

- Il precipizio?

- Sì.

- Ebbene?

- Quello è la tua tomba!

Maruzza divenne cadaverica, tremò per tutta la persona e mormorò debolmente:

- La mia tomba?

- Sì. E quella fontana il tuo letto di morte.

- E perché mai?

- Vile donna, tu mi hai tradito!... Tu ami quel mascherato di Peppi! E il disonore non si lava che col sangue.

- Giuvanni, no, non mi uccidere, sono innocente, te lo giuro.

Un urlo formidabile uscì dal petto del geloso marito. Un'onda di sangue gli si riversò al cervello e in un attimo afferrò la moglie per la vita e la slanciò nel vuoto gridando:

- Maledetta, anche la menzogna!

Si udì un grido, poi un tonfo e tutto finì.

Quanti anni sono passati da quell'epoca? Nessuno lo sa. I montanari, i mugnai, i contadini, i cacciatori, continuano a chiamare quei luoghi 'u sautu ri Maruzza e 'a funtana ri Maruzza e chissà per quanti altri secoli continueranno a chiamarli così, narrando, le mille e mille volte, la dolorosa tragedia da noi accennata.

 

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